Radio Radicale – Spazio Transnazionale: Intervista a C. Bertolotti

L’UNAMA accende i riflettori su statistiche che nascondono il dramma di un intero paese.

Il governo afghano, incapace di gestire la situazione, è sostenuto dalla Comunità internazionale e da una NATO che però non è in grado di creare uno strumento di difesa e sicurezza afghana.

Nel frattempo gli Stati Uniti guardano a una nuova revisione della strategia per l’Afghanistan e potrebbero aprire ufficialmente ai talebani per un dialogo negoziale.

di Claudio Bertolotti

In Afghanistan continuano ad aumentare i morti civili, vittime collaterali, ma spesso obiettivi designati di un conflitto che sta per entrare nel suo diciottesimo anno di guerra. L’allarme lanciato attraverso la pubblicazione del report della missione dell’ONU in Afghanistan, l’UNAMA, accende i riflettori su statistiche che nascondono il dramma di un intero paese.

Nel complesso aumentano i morti civili; un aumento minimo rispetto ai dati dello scorso anno, l’1% in più (1692 morti e 3430 feriti), ma è la conferma di un trend in progressivo e inarrestabile aumento. Diminuiscono, per contro, le vittime tra le donne e i bambini, ma si tratta di una riduzione quantitativa che parte da cifre estremamente elevate.

Impressionante aumento di vittime di attacchi suicidi da parte dei talebani e dello Stato islamico-Khorasan e di bombardamenti aerei della coalizione e delle forze afghane

Aumentano del 22% i morti civili in seguito ad attacchi suicidi e ordigni esplosivi, responsabili di oltre la metà dei decessi, condotti dallo Stato Islamico-Khorasan (franchise afghano dello Stato islamico che fu in Iraq e in Siria) e dai talebani, in un confronto sempre più acceso e orientato ad ottenere il massimo dell’attenzione mediatica attraverso la condotta di azioni spettacolari. Da un lato i talebani, forti di circa 40/50.000 combattenti di cui una componente disposta al dialogo negoziale ma a rischio di frantumazione interna a causa della competizione tra pragmatici e radicali; dall’altra lo Stato Islamico-Khorasan, la cui forza è limitata a poche migliaia di unità, ma in forte crescita sul piano operativo e su quello comunicativo. Nonostante la forte differenza tra i due gruppi la percezione dell’opinione pubblica è che si tratti di due forze equivalenti: così non è.

Aumentano anche le vittime a seguito di bombardamenti aerei delle forze della coalizione, prevalentemente statunitensi, e le forze di sicurezza afghane; un aumento impressionante del 52% che è diretta conseguenza della strategia dell’aministrazione statunitense, avviata l’agosto scorso, incentrata su una forte e maggiormente incisiva azione aerea e di forze speciali. Una strategia che, oltre al numero delle morti collaterali, non ha dato i risultati sperati in termini di indebolimento del fronte insurrezionale (talebani e altri gruppi di opposizione) e di quello terroristico (lo Stato Islamico-Khorasan). Forti di circa 20.000 uomini, comprese le componenti di addestramento della NATO e quelle combat dell’operazione Freedom’s Sentinel, e di altrettanti contractor, gli Stati Uniti presenteranno nei prossimi mesi una revisione della strategia che, intanto, ha già visto il raddoppio delle truppe NATO da parte britannica e la richiesta di un maggiore impegno da parte dei paesi dell’Alleanza Atlantica. In tale quadro si inserisce la propensione italiana a ridimensionare di duecento unità il proprio contingente, oggi forte ci circa 900 uomini; un disimpegno che però troverà concretezza solamente se gli altri partner della missione NATO Resolute Support contribuiranno a compensare la i militari italiani in uscita dal teatro afghano.

Con la consapevolezza di una mancata vittoria nella lunga guerra afghana, Washington pare decisa a trattare ufficialmente con i talebani

Il presidente Donald Trump e il Pentagono si muovono dunque verso l’ennesima revisione della strategia per l’Afghanistan: l’obiettivo è il disimpegno e l’avvio di una soluzione negoziata che consenta di mantenere le basi strategiche di Washington, indipendentemente dagli sviluppi politici del governo di Kabul guidato da una sempre più debole diarchia Ashraf Ghani – Abdullah Abdullah.

In tale quadro, con la consapevolezza di una mancata vittoria nella lunga guerra afghana, Washington pare decisa a trattare ufficialmente con i talebani, e non più solamente sostenendo il dialogo tra le parti (governo afghano e movimento insurrezionale) come sinora fatto sul piano ufficiale e che continuerà parallelamente. La sostanza non cambia, gli americani sono da anni impegnati in dialoghi e negoziati con il movimento talebano, ma i tempi sono maturi per un riconoscimento formale dell’interlocutore che non è stato sconfitto sul campo di battaglia.

Rimangono due incognite. Una consolidata, l’altra in fase di evoluzione. La prima è rappresentata dalla frangia radicale presente all’interno del movimento talebano, guidata da Sirajuddin Haqqani, a capo dell’organizzazione militare del movimento, in particolare, delle unità responsabili degli attacchi suicidi nella capitale.

L’altra incongnita è la spinta violenta che lo Stato Islamico-Khorasan sta tendando di dare alla guerra afghana, portandola dalla sua natura locale, di guerra di liberazione nazionale, a guerra ideologica globale.

Entrambe gli attori sono caratterizzati dall’indisponibilità all’accordo negoziale. Un pericoloso elemento comune di cui dover tener conto.

 

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