407 attacchi rivendicati dai talebani; 192 gli incidenti dichiarati dal ministero degli Interni.
407 attacchi rivendicati dai talebani; 192 gli incidenti dichiarati dal ministero degli Interni, ma la cifra risale al sabato sera del 20 ottobre, quindi al termine del primo dei due giorni di voto, ed è fortemente sottostimato. Ufficialmente aperti il 92 percento dei seggi, ma in realtà il dato non sarebbe superiore al 63 percento.
La violenza, la disorganizzazione e le irregolarità hanno caratterizzato l’appuntamento elettorale del 20-21 ottobre per il rinnovo della Wolesi Jirga, la Camera bassa del Parlamento afghano.
I talebani hanno limitato l’afflusso ai seggi elettorali delle aree rurali chiudendo le strade e sarebbero riusciti ad interrompere le comunicazioni telefoniche in alcuni distretti nelle province di Badghis e Kunduz. Talebani che hanno anche colpito gli osservatori della Commissione Elettorale Indipendente, come dimostrato dai cadaveri dei 4 funzionari della commissione trovati a Mazar e-Sharif, e inoltre portato a compimento attacchi suicidi contro alcuni seggi elettorali: Kabul, Kunduz e Baghlan le città più colpite. E ancora, al termine della giornata elettorale i talebani hanno fatto irruzione in alcuni seggi della provincia di Baghlan bruciando decine di urne contenenti le schede elettorali e diffondendo sul web le loro azioni.
A Kunduz, in particolare, i mujaheddin eredi del Mulllah Omar hanno lanciato più di venti razzi sulla città, dimostrando di essere ancora in grado di minacciare la quinta città dell’Afghanistan, capitale provinciale, dopo averla conquistata ben due volte dal 2015.
Difficoltà organizzative e numeri che non tornano
A fronte della sicurezza delle elezioni, emergono tutte le difficoltà organizzative e di gestione dell’appuntamento elettorale.
La Commissione Elettorale Indipendente (IEC) ha pubblicamente dichiarato l’apertura del 92 percento dei seggi; 4.576 su 4.849, esclusi i 225 della provincia di Kandahar in cui gli afghani andranno a votare il 27 ottobre, con una settimana di ritardo, a causa dei problemi di sicurezza legati all’attentato che ha portato alla morte del capo della polizia provinciale, il generale Abdul Raziq, al capo dell’intelligence di Kandahar, Abdul Monim, e al ferimento del comandante delle truppe statunitensi a Kandahar, il generale Jeffrey Smilley. Questi i dati ufficiali resi pubblici, ma informazioni riservate della stessa Commissione Elettorale Indipendente, riportate dall’Afghanistan Analysts Network, confermerebbero invece dati molto meno entusiasmanti: solo 3.187 sarebbero i seggi effettivamente aperti, meno del 63 percento. E nella provincia di Ghazni le elezioni non si sono tenute per niente.
Un’informazione contestata, quella della Commissione, che segue quella dubbia sul numero di cittadini registrati al voto: 9milioni, sui 12 aventi diritto, pur considerando che il 35percento della popolazione afghana vivrebbe in aree controllate o contestate dai talebani in cui l’esercizio elettorale è stato impossibile o molto difficile.
Numerosi e diffusi sono stati i casi di irregolarità, disorganizzazione e frodi a cui si aggiungono i problemi tecnici dei sistemi biometrici per il riconoscimento degli elettori, malfunzionamenti o impossibilità di utilizzo o l’assenza di batterie o caricatori per gli stessi (nella provincia di Paktia non sono stati utilizzati), gli errori di invio delle liste degli aventi diritto al voto ai seggi, i ritardi nell’apertura e l’assenza diffusa di personale preparato a gestire le procedure di voto, di spoglio o di utilizzo delle apparecchiature biometriche; inoltre, in molti seggi è stata denunciata la mancanza di materiali per poter votare. Vi è poi stata disparità di trattamento nei confronti dei soggetti non presenti nelle liste elettorali: in alcuni casi non è stato loro consentito votare, in altri casi sì, inserendone il nome in calce alla lista. Alcuni seggi avrebbero infine iniziato il conteggio dei voti prima della chiusura delle votazioni e in contrasto con le procedure previste.
Oltre ai talebani, anche i “signori della guerra” minacciano gli elettori
Gravi anche gli episodi di intimidazione e violenza, da parte dei worlord e dei loro sostenitori, nei confronti degli elettori e dei funzionari presenti nei seggi elettorali che in alcuni casi non hanno potuto verificare la correttezza del voto. Numerosi i casi di gruppi armati che hanno imposto agli elettori di votare per un candidato, in particolare nelle aree periferiche e rurali. In altri casi, in particolare a Logar, Kunar, Kabul, Badakhshan e Takhar, rappresentanti ed emissari di candidati hanno interferito distribuendo denaro presso i seggi in cambio del voto.
È indubbio che centinaia di migliaia di afghani abbiano rinunciato al proprio diritto al voto di fronte alla violenza o intimoriti dalle minaccia fatte dai talebani nei giorni precedenti. Così come è evidente che molti hanno deciso di farlo nonostante la disorganizzazione del sistema elettorale, come dimostrato dalle lunghe code fuori dai seggi e dalle molte ore di attesa trascorse dagli elettori. I dati, per il momento, devono essere presi con molta cautela, ma il numero di elettori che si sarebbero recati alle urne potrebbe essere di poco superiore ai 4milioni, ossia il 45 percento di coloro che si sono registrati (il 33percento degli aventi diritto al voto), come dichiarato dalla Commissione elettorale alla chiusura dei seggi la sera di domenica 21 ottobre. Al 33 percento l’affluenza delle donne.
Le prime proiezioni dovrebbero essere diffuse a metà novembre, ma occorrerà attendere la terza settimana di dicembre per i risultati ufficiali.
Nel complesso i talebani ottengono un doppio grande risultato: da una parte hanno spaventato l’elettorato, riducendo così il numero di votanti; dall’altra parte hanno imposto al governo centrale la propria volontà constringendo a posticipare le elezioni di una settimana nell’intera provincia di Kandahar.
Ma è una fotografia, quella dell’Afghanistan del 20-21 ottobre che, nonostante i numeri e gli eventi drammatici, mostra come molti afghani abbiano voluto far sentire la propria voce sul futuro del loro Paese.