di Claudio Bertolotti
La guerra in corso si è lasciata alle spalle diciotto anni di conflitti multilivello e un numero, ampiamente approssimativo, di vittime civili dirette e indirette della guerra compreso tra 37.000 e 45.000; 32.000 solamente negli ultimi dieci anni.
45.000 i caduti tra le forze di sicurezza afghane dal 2014 a oggi; 28.000 nel 2018. 3.000, invece, i caduti tra le forze di sicurezza straniere.
L’aumento dei morti civili
In Afghanistan continuano ad aumentare i morti civili, le cosiddette vittime collaterali. L’allarme lanciato attraverso la pubblicazione a febbraio 2019 del report della missione dell’Onu in Afghanistan, l’Unama, accende i riflettori su statistiche che descrivono il dramma di un intero paese.
Nel complesso, nel 2018 sono aumentati i morti civili; un aumento significativo rispetto ai dati dell’anno precedente, l’11 percento in più di morti civili (3.804 morti, di cui 927 minori, e 7.189 feriti): la conferma di un trend in progressivo aumento. Diminuiscono, per contro, le vittime tra le donne e i bambini, ma si tratta di una riduzione quantitativa che parte da cifre estremamente elevate.
Aumentano del 22 percento i morti civili in seguito ad attacchi suicidi e ordigni esplosivi, responsabili di oltre la metà dei decessi, condotti dallo Stato Islamico-Khorasan (provincia del Khorasan), il franchise afghano-pakistano di quello che fu lo Stato islamico in Siria e Iraq, e dai talebani, in un confronto sempre più acceso e orientato ad ottenere il massimo dell’attenzione mediatica attraverso la condotta di azioni spettacolari. Da un lato i talebani, forti di circa 35/50.000 combattenti di cui una componente disposta al dialogo negoziale ma a rischio di frantumazione interna a causa della competizione tra pragmatici e radicali; dall’altra lo Stato Islamico-Khorasan, la cui forza è limitata a poche migliaia di unità, ma in forte crescita sul piano operativo e su quello comunicativo. Nonostante la forte differenza tra i due gruppi la percezione dell’opinione pubblica è che si tratti di due forze equivalenti: così non è.
La maggior parte delle vittime, il 63 percento (2.243 morti) secondo Unama, è conseguenza delle azioni dei gruppi di opposizione armata: 37 percento talebani (1.348 morti), 20 percento gruppo Stato islamico-Khorasan (681 morti) e 6 percento altri gruppi. Gli attacchi suicidi e quelli con ordigni esplosivi improvvisati (Ied – Improvised Explosive Device) sono le tecniche che avrebbero provocato la maggior parte delle morti: il 42 percento (26 percento i soli attacchi suicidi).
Il periodo tra luglio 2017 e giugno 2018 è stato caratterizzato da un forte aumento delle vittime a seguito di bombardamenti aerei delle forze della coalizione, prevalentemente statunitensi, e le forze di sicurezza afghane; un aumento impressionante del 52 percento che è diretta conseguenza della strategia dell’amministrazione statunitense, avviata nell’agosto del 2017, incentrata su una forte e maggiormente incisiva azione aerea e di forze speciali. Una strategia che, oltre al numero delle morti collaterali, non ha dato i risultati sperati in termini di indebolimento del fronte insurrezionale (talebani e altri gruppi di opposizione) e di quello terroristico (lo Stato Islamico-Khorasan). Il 2018 ha registrato un numero di vittime per bombardamenti aerei pari alla somma degli anni 2015 e 2016.
Le forze pro-governative sarebbero responsabili del 24 percento delle vittime civili (14 percento le forze afghane, 6 percento le forze internazionali e 4 percento altri gruppi pro-governativi). Tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2018, l’Unama ha documentato 2.612 vittime civili (1.185 morti e 1.427 feriti) in conseguenza di operazioni condotte dalle forze pro-governative.
Dati aggiornati al 24 febbraio 2019.