di Claudio Bertolotti
Dopo Gaza, la prossima sfida di Israele potrebbe arrivare dalla Cisgiordania
La situazione a Gaza, dopo le manifestazioni di protesta e le violenze della scorsa estate alimentate dalla strategia provocatoria di Hamas, ha visto ridurre gli episodi di violenza e le proteste ma non si è stabilizzata; le manifestazioni settimanali continuano di fronte alla linea di confine. Nel frattempo, i gravi problemi infrastrutturali della striscia di Gaza tendono ad evidenziare la loro gravità mentre gli sforzi per la riconciliazione tra Hamas e Fatah non hanno dato frutti sostanziali. Sforzi che potrebbero dare qualche risultato nel caso in cui i Paesi del Golfo decidessero di imporre ad Hamas una partecipazione convinta al processo negoziale per un cessate il fuoco a lungo termine; un ruolo, quello dei Paesi del Golfo, che potrebbe essere agevolato da finanziamenti diretti proprio ad Hamas.
Se ciò non dovesse avvenire, potrebbe riaccendersi la violenza e il governo israeliano potrebbe reagire in maniera energica contro Hamas, come in parte già preannunciato dalle tensioni sfociate a Gerusalemme alla fine di novembre a seguito all’invito da parte dell’Autorità Palestinese agli agenti immobiliari a non vendere proprietà a Gerusalemme ad acquirenti israeliani.
Inoltre, come già in precedenza, la polizia israeliana e lo Shin Bet (Shabak – Sherut ha’Bitachon ha’Klali) – l’agenzia intelligence per gli affari interni dello stato di Israele – hanno arrestato il governatore dell’Autorità Palestinese di Gerusalemme, Adnan Ghaith, insieme a 32 persone della sicurezza palestinese, con l’accusa di aver violato gli accordi di Oslo, in base ai quali all’Autorità Palestinese è fatto divieto di operare tramite le proprie forze di sicurezza nella capitale ebraica.
In tale quadro di contenimento dell’attività anti-israeliana, il governo ha bloccato i siti web di propaganda di Hamas, reindirizzando gli utenti sulla pagina web governativa. Una scelta che sarebbe volta a impedire la distribuzione da parte di Hamas di immagini che mostrerebbero soldati israeliani partecipanti alla fallita operazione nella Striscia di Gaza della fine di novembre.
Sebbene il coordinamento della sicurezza tra Israele e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania continui, la tensione è crescente e potrebbe sfociare in un picco di violenza. Israele teme una nuova ondata di attacchi terroristici in Cisgiordania, come evidenziato dall’accoltellamento di due agenti di polizia nella parte vecchia di Gerusalemme, il 13 dicembre, a cui è seguita l’uccisione, da parte di un terrorista palestinese, di due soldati israeliani e il ferimento di un terzo soldato e di due civili vicino a Ramallah, in Cisgiordania, dove le Forze di Difesa Israeliane (IDF, Israel Defense Forces) hanno da subito istituito posti di blocco agli ingressi del centro economico e amministrativo dei palestinesi, chiudendo alcune strade al traffico palestinese: un’opzione straordinaria che ha confermato la volontà del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – che attualmente detiene anche la carica di ministro della Difesa in seguito alle dimissioni di Avigdor Lieberman – di reagire in maniera efficace e severa a qualunque azione violenta in Cisgiordania, dove sono seguiti scontri che hanno fatto aumentare i timori di una nuova ondata di attacchi terroristici: numerosi scontri tra coloni israeliani, palestinesi e azioni violente contro le forze militari israeliane sono stati registrati a Burin, Jit, Asira al Kibliya, Huwara, Beitilu, Yitzhar e Kedumim. L’azione del 13 dicembre è l’ultima delle sette azioni terroristiche registrate nel 2018 che hanno portato all’uccisione di undici cittadini israeliani in Cisgiordania.
Le reciproche accuse, da parte dell’Autorità Palestinese e israeliana, hanno caratterizzato il dibattito politico che è seguito all’ondata di violenza; uno scontro che potrebbe ulteriormente inasprirsi in seguito alla decisione di autorizzare la costruzione di altre 2.000 unità abitative ebraiche in Cisgiordania.